Per prima cosa mi devo scusare con il pubblico, con l’amica Maria Carla e con i miei colleghi musicisti per non essere con voi questa sera: purtroppo un impegno istituzionale si è imposto in queste ultimissime ore e i miei doveri di ufficio mi impediscono di eluderlo. Mi dispiace molto anche perché l’idea di parlare in pubblico del mio maestro mi accarezzava la fantasia da anni e poi perché, da lassù, sono certo che ci sta guardando, scuotendo la testa e pensando che ho trovato, per l’ennesima volta, il modo di bucare la lezione con chissà quale scusa.

Però, Maestro, tu dicevi sempre che “è meglio che il compito arrivi a lezione senza lo scolaro che lo scolaro senza compito”: ecco quindi il mio compito, spero senza quinte e ottave parallele (NdR. Si tratta di gravi errori di armonia che ogni studente deve temere come il peccato originale).

Potete immaginare l’emozione di un quattordicenne ammesso nella classe di uno dei più rispettati pianisti e insegnanti di composizione d’Italia il giorno della prima lezione. Arrivo in Conservatorio e sulla porta della classe trovo un cartello: “Sono a San Pietro: venite lì”. Armando Renzi è stato Maestro della Cappella Giulia (anzi: l’ultimo vero ed effettivo Maestro) per anni ed era normale fare lezione anche in Vaticano avvalendosi di incredibili permessi che lui vergava con una enorme stilo su microscopici pizzini con tanto di ceralacca marchiata da un suo anello spettacolare. Ma in realtà ho imparato presto che ogni occasione e ogni luogo era adatto per fare lezione: la sua casa a Roma, quella di Vitinia ma anche i corridoi del Conservatorio, l’autobus e perfino l’ospedale, dove una volta, sebbene ricoverato, trovò il modo di farmi andare per controllare una fuga a quattro parti. Insomma: ogni occasione di incontro era adatta per imparare qualcosa. Perché per Renzi tutto era musica purché fosse musica pratica, suonata, cantata, composta, concretamente incarnata in suono vivo: non “la musica parlata”, come quella che, a suo dire, insegnava un collega troppo cerebrale e poco amato in una classe che lui indicava minacciosamente con il dito.

Armando Renzi, infatti, era - in un certo senso - la musica fatta persona. Entrando in classe si poteva irrompere in uno di quei magici momenti dove, a memoria, suonava da par suo uno studio di Chopin con le dita annodate da matite, gomme, mozziconi di sigaretta eppure per nulla intralciate nel loro volteggiare mentre lui sfidava “gli scolari” urlando: - ‘ndo vado? – vale a dire “in che tonalità mi sposto?”, perché continuava lo stesso studio ma modulando magari da do maggiore a la maggiore senza modificare l’andamento dello studio. Una cosa di virtuosismo folle che oggi sfido chiunque a replicare.

Il sistema di insegnamento di Renzi era estremamente selettivo la selezione era, in un certo senso, naturale: lui seguiva, e amava, gli allievi di talento. Altro non v’era. Tra di noi decisamente il più dotato era, per unanime riconoscimento, Bruno Moretti: forse lo studente più vicino al Maestro per musicalità, capacità e istinto. Molto amato, e rispettato da noi un po’ più giovani - in un periodo della vita dove anche un anno fa la differenza – l’amico Franco Piersanti, oggi notissimo autore di colonne sonore e musica per lo spettacolo. Ma tanti i compagni che poi hanno fatto della musica il loro mestiere e la loro vita: Alessandro Siciliani, Francesco Telli, Daniele Lombardi, Giorgio Bernasconi, Alfredo Gasponi, Riccardo Belpassi, Carlo Tamponi e molti altri musicisti importanti che avevano frequentato le sue lezioni prima di noi come Alessandro Sbordoni e Luca Lombardi.

Ogni tanto durante la lezione si studiavano e analizzavano grandi capolavori della musica che lui suonava e leggeva come se li avesse composti personalmente, tanto la confidenza e le sue straordinarie doti di pianista gli rendevano queste note familiari. A volte ci raggiungeva un illustre collega (illustre davvero, come il Re dei cornisti Domenico Ceccarossi) per provare musica sua. La musica Di Renzi, come quella che state per ascoltare, era lontana un miliardo di miglia da quella che in quel periodo della mia vita mi interessava approfondire, però era musica VERA, piena di idee, di autentica ispirazione, di maestrìa artigianale strepitosa. Era come sentire provare Ravel o il suo amato Pizzetti. Era una grande lezione di musica praticata e non certo di musica parlata, appunto. Musica che merita di essere ascoltata, eseguita e di entrare nel normale repertorio.

Caro Maestro, potrei parlare per ore di te. Quando te ne sei andato ci hai lasciato davvero di stucco ma ci consolava il fatto che in virtù delle medaglie guadagnate sul campo della musica sacra e liturgica, avresti avuto un trattamento di favore.

Sulla porta della tua classe io, oggi, vedo un altro cartello: “Sono lassù, vi aspetto: e portate i compiti!”.

Grazie a tutti e buon ascolto.

Michele dall’Ongaro

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Omaggio ad Armando Renzi presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra Roma 12/04/2013

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